Nell’ufficio ormai non c’era più nessuno. Per fortuna i colleghi erano abituati a vedere Guido lavorare fino a ore assurde, alla ricerca di un’ispirazione. Per essere un ingegnere, aveva sempre lasciato uno spazio piuttosto ampio all’improvvisazione, amava sorprendere e sorprendersi con idee originali eppure perfettamente razionali. Stavolta, però, era diverso. Stavolta il filo gli era sfuggito, i frammenti del disegno non si ricomponevano e la forma nascosta delle cose affiorava distorta, proprio come in quel racconto.
Tutto era cominciato quando, circa sei mesi prima, aveva conosciuto Dalia. Una delle tante giornaliste-blogger che cercava di farsi notare e di fare qualche soldo con la pubblicità. Però brava, e preparata: non sono in molti a sapere abbastanza di edilizia a impatto zero da capire quanto sofisticata sia l’ingegneria che le sta dietro, o da arrivare fino a un’impresa come la sua e cercarlo per un’intervista. Nonostante il marito facoltoso, lei continuava a cercare la propria strada, e questo a Guido piaceva molto.
Si vedeva che era intelligente, Dalia, e attenta. E terribilmente triste. C’era come un’aura che la circondava e quasi la nascondeva, e lei usava la sua professionalità come uno schermo per contenere tutta quella tristezza. Ci era voluto del tempo per far emergere la forma nascosta, la donna che un matrimonio arido e un lavoro precario avevano soffocato, ma lui aveva saputo aver pazienza, e ne era valsa la pena: Dalia era meravigliosa, e quei pochi mesi erano stati i più belli della sua vita.
Fino a lunedì. La mattina, prima di arrivare al lavoro, era arrivata la solita chiamata dopo colazione. “Amore, ho una bellissima notizia: Arturo va in Svizzera per lavoro, abbiamo tre giorni tutti per noi. Che ne diresti di andare alla villa sul lago?” Detto fatto. Aveva avvertito in ufficio che sarebbe stato via un paio di giorni, aveva riempito la sua solita borsa, e nell’arco di un’ora l’auto guidata da Dalia lasciava Como per imboccare la strada costiera lungo cui sorgeva la villa, appena fuori del primo dei paesini del lungolago.
Guido e Dalia erano arrivati intorno alle due, e, dopo aver sistemato il poco che si erano portati dietro, si erano accomodati sul portico a mangiare i panini che lei aveva preparato. “Sembriamo due pensionati” “Pensionato sarai tu! Io non ho quasi mai avuto uno stipendio, quindi di pensione non se ne parla!” aveva ribattuto lei, ridendo e tirandogli contro il tovagliolo di carta.
Era andato tutto benissimo fin verso le nove, quando Dalia aveva sentito il rumore di un’auto che no, non poteva essere sulla provinciale. Avevano appena fatto in tempo ad alzarsi dal divano che Arturo era entrato, vestito da ufficio e parlando col tono di chi è abituato a essere ascoltato anche attraverso le porte: “…che ci fai qui? Io sono stato trattenuto fino a tardi in ufficio e ho pensato di fare tappa qui e andare a Bellinzona domattina…”. Appena entrato nel piccolo soggiorno, si era trovato a un passo da Guido e Dalia, senza che potessero far nulla per dissimulare la situazione.
Per un istante, erano rimasti come congelati, tutti e tre. Il primo a riprendersi era stato Arturo, che dopo aver posato delicatamente al suolo la borsa del computer, aveva colpito con un violento schiaffo Dalia facendola cadere sul tavolino davanti al divano, e poi si era rivolto verso Guido, ma un attimo troppo tardi: il pugno lo aveva colpito alla tempia, mandandolo ko sul tappeto. Dal capo di Arturo, finito contro la base di marmo del caminetto, si allargava sul tappeto una macchia di sangue. Guido era rimasto a guardare impietrito.
“Non è possibile” aveva pensato “queste cose non succedono davvero…”, e mentre stava per chinarsi e soccorrere il rivale, con la coda dell’occhio aveva visto Dalia avventarsi sul marito, impugnando qualcosa di allungato. Due, tre volte l’aveva colpito, prima che lui potesse tirarla via mentre urlava e scalciava, come un animale selvaggio sfuggito al guardiano: “Ti ammazzo! Ti ammazzo” piangeva rivolta ad Arturo, mentre Guido tentava di strapparle di mano l’oggetto insanguinato.
Erano rimasti a terra per un minuto, forse due, abbracciati e ansanti come dopo aver fatto l’amore, senza guardarsi. Dopo, era stato come un incubo.