Autore: Un cadavere nella Rete
Buongiorno cari lettori, e GRAZIE!
Grazie ai vostri voti siamo in finale ai prestigiosi Macchianera Awards, gli oscar del web, nella CATEGORIA 21, MIGLIOR SITO LETTERARIO!
Ora vi preghiamo di continuare a votarci in vista della premiazione finale, in cui speriamo di farci onore, e far così conoscere a più persone possibile questo nostro nuovo modo di narrare.
Di seguito il link, non dimenticate di mettere almeno 10 preferenze totali, o il voto non sarà valido.
Nel frattempo, ora con ancor più entusiasmo, stiamo lavorando alle prossime avventure di Sherlock, Jorge e tutti gli altri nostri personaggi, presto alle prese con un nuovo, appassionante omicidio in rete
Buongiorno a tutti cari lettori, siamo arrivati alla fine di questo nostro primo atto
Grazie a tutti quelli che ci hanno seguito rigorosamente, aspettando con trepidazione ogni puntata, siete stati grandiosi!
Grazie a quelli che sono rimasti indietro con le letture perché giustamente “c’hanno anche nà vita”, e che ora stanno recuperando!
Grazie a tutti quelli che hanno letto un po’ a spizzichi ma intanto si sono incuriosity e proseguiranno
Grazie a tutti quelli che passano e passeranno parola e ai nuovi lettori che arriverano, perché questo è solo l’inizio!
Ora vorremmo dirvi ancora alcune cose.
Siete un pubblico numeroso e intelligente, ma anche piuttosto riservato, quasi timoroso, nel commentare, di spoilerare o di dire cose sbagliate, quindi ora vogliamo rispondere pubblicamente alle varie domande e osservazioni che ci avete fatto in privato:
1) Ma Arturo è vivo?
Beh, intanto a questa non rispondiamo…
2) Ma chi è Nero Wolfe? E’ un personaggio nuovo o qualcuno che già conosciamo?
E nemmeno a questa rispondiamo, però se leggete attentamente…
3) Ci avete preso in giro, Dalia non esiste oppure é una vostra amica che vi presta il profilo!
Ragazzi, che volevate, un vero omicidio…? E’ un romanzo!
4) Ci sarà un seguito?
A questa rispondiamo… sì! E’ stata così bella l’accoglienza che abbiamo deciso di continuare. Il seguito uscirà presumibilmente a inizio/metà 2019, nel frattempo se vi è piaciuto condividete e parlate di noi, ci sarà di incoraggiamento!
5) Ma possiamo scrivere anche noi?
Abbiamo colto in molti di voi il dispiacere che il gruppo di scrittura Penitenziagite non esista davvero, al di fuori della dimensione narrativa, oltre che il desiderio di parteciparvi attivamente scrivendo.
Per questo abbiamo avuto questa idea: creare il gruppo “Siete su Facebook? Pentitevi!”, in cui se vorrete potrete riprodurre il gioco: scrivere racconti intorno al profilo FB di chi di voi si offrisse volontario, immaginando che segreti possa nascondere
Potete scrivere con il vostro vero nome o con un nickname, come preferite. Noi saremo una presenza discreta, modereremo solo se strettamente necessario (speriamo di no), vi leggeremo costantemente e non è detto che non trarremo ispirazione per la nostra storia ufficiale: in quel caso rigorosamente chiederemo il permesso all’autore e lo citeremo.
Questo è il gruppo, non inseriremo nessuno a forza e se saremo pochi non importa, inseritevi se vi interessa e chiamate amici che amino leggere, scrivere e commentare
https://www.facebook.com/groups/218623355451956
6) Ne farete un vero libro?
Come, vi siete persi l’annuncio dell’ebook???
A presto!
Amici, lettori, penitenti, pentiti, impuniti, sodali, rivali e fiancheggiatori, porgeteci orecchio
Oggi una grande notizia! La nostra storia è finalmente in e-book, o forse sarebbe più corretto chiamarlo ipertesto, o forse semplicemente Social Network Novel, visto che è una cosa unica e mai fatta prima 🙂
Nell’ebook troverete tutto quello che è pubblicato sul blog, collegato come da trama a Facebook da un infallibile sistema di link, e in più:
– un brano inedito sul passato di Wolverine (quello che non hanno scelto i lettori di Facebook quando hanno scelto Achab, se invece siete lettori solo del blog, di brani inediti ne avrete due)
– un approfondimento sul Progetto Lizard
– una conversazione inedita tra Jorge e Sherlock
– una succosa anticipazione della prossima serie!
L’ebook è su Amazon, a soli 2.99 euro, e gratis per chi avesse il kindle unlimited. Chi poi non avesse l’e-reader può comunque scaricare gratuitamente l’apposita app per pc o smartphone, che ha ottima leggibilità
Insomma non avete scuse! E se vi è piaciuto, lasciateci una buona recensione, ci sarà di incoraggiamento a far crescere il progetto
Grazie!
Per l’acquisto clicca qui
– Cammarota! Cammarota!
– Sì, commissario, cosa c’è?
Il vicecommissario, imperturbabile, non muove un passo per avvicinarsi all’ufficio del suo capo, e continua a sistemare l’archivio già in perfetto ordine.
– C’è che questo rapporto è una schifezza. Un pasticcio, non si capisce niente. Ma che t’è successo? Ti sei inzallanuto, come mi dici ogni lunedì mattina?
Alla fine la faccia di Cammarota s’affaccia nel vano della porta, con un sorrisetto sarcastico in volto e un sopracciglio alzato, massimo segno di disapprovazione per la turpe pronuncia napoletana del superiore. Il secondo sopracciglio si alza alla vista dei fogli del rapporto disordinatamente sparsi sulla scrivania.
– Tu pensi che qualcuno leggendo questa roba possa capire cos’è successo? Leggi qui: “la prefata, impossessata da un raptus inconsulto, dato di pugno a un trinciante da cucina a lama larga, sferrava un fendente che giungeva solo parzialmente a bersaglio, lacerando gli strati dermici superficiali…” Ma che modo è di scrivere un rapporto? Ci metti una pagina a descrivere una coltellata e poi non dici niente sull’inchiesta… Non si capisce niente!
– E per forza che non si capisce niente, commissario. Quello, il rapporto, a questo deve servire.
– A cosa? A non far capire niente?
– Commissario, ma chi lo leggerà questo rapporto?
– Come, chi lo leggerà? Lo leggeranno eccome: hai dimenticato l’importanza di questo caso? Lo leggerà anche il questore. Anzi, forse…
– Forse lo leggeranno anche i nostri colleghi svizzeri, vero?
Nel frattempo Cammarota riordina e impila i fogli del rapporto.
– Ecco. Sì, non sarei affatto sorpreso. E se lo legge la polizia svizzera, stai tranquillo che lo leggeranno anche i pezzi grossi della Pharmacras.
– E lei, dottore, ha paura di fare una brutta figura con gli svizzeri?
Il mezzo sorriso ora non può sfuggire a Poletti, che improvvisamente capisce.
– Cammarota, che giorno è oggi?
– Lunedì, dottore.
– E perché non mi hai detto che sono inzallanuto? Hai ragione tu, il rapporto è perfetto così. La storia è semplice: la signora ha ucciso il marito, probabilmente con l’aiuto di un complice. Poi s’è resa conto che una sua vecchia fiamma ne sapeva qualcosa, gli ha dato un appuntamento per tendergli una trappola e ha cercato di ammazzarlo. Noi però le avevamo messo il telefono sotto controllo e siamo intervenuti.
– Siamo stati fortunati, no, dottore?
– Già, perché in fondo noi siamo un po’ tonti. Non ci siamo accorti di un sacco di cose… non ci siamo resi conto della relazione della signora con quell’ingegnere…
– E quello di sicuro non ci racconta più niente, è morto l’altro giorno in un incidente stradale appena fuori Milano…
– Ossignore! Un incidente… normale?
– Mah… parrebbe proprio un vero incidente. E se il complice era davvero lui, non lo sapremo mai. Di certo però era l’amante, perché la signora, appena si è svegliata dai sedativi, ha iniziato a chiamare “Guido… Guido… devo parlare con Guido…”
– E poi?
– E poi quando ha saputo che era morto è come impazzita. Ha iniziato a dire che è stato il marito, che l’ha ucciso lui, che il marito è ancora vivo, che è diventato un superuomo, una specie di supereroe…
– Evidente che la signora punta all’infermità mentale, quanta gente ho visto impazzire al momento giusto, Cammarota… certo, quella storia del progetto Lizard è ben strana… e finchè non si trova il corpo, qui un morto non c’è, e quindi nemmeno un’assassina…
– La cosa più ironica, Commissario, è che Arturo Freddi a quanto pare aveva comunque poco da vivere… alla vedova inconsolabile sarebbe bastato aspettare, ma evidentemente non lo sapeva. Legga qui, arrivato un’ora fa dalla postale. Ci hanno messo più del previsto perché il nostro usava password piuttosto creative, ma ora abbiamo tutte le sue mail…
Poletti prende in mano il fascicolo e lo sfoglia senza leggerlo, mentre continua ad ascoltare il riassunto di Cammarota.
– Il tumore al pancreas non perdona, tutti i referti erano nel suo Google Drive, ricevuti un paio di mesi prima della scomparsa. La postale ha analizzato anche la navigazione web di Freddi in quel periodo. Per qualche settimana non ha fatto che cercare freneticamente tutte le informazioni possibili sulle cure, anche nel deep web. Poi all’improvviso più nulla.
– Poveraccio, si sarà rassegnato.
– Freddi non era il tipo d’uomo che si rassegna, Commissario.
– Quando la morte ci guarda in faccia ci rassegniamo tutti, Cammarota. C’è altro che devo vedere?
– Sì, questo.
Cammarota prende dalla scrivania un oggetto chiuso in un sacchetto di plastica.
– Le ricerche nel lago sono ancora in corso, i sommozzatori stanno guardando ovunque. Non abbiamo ancora il corpo, ma forse abbiamo l’arma…
– Che è quest’affare, Cammarota? Pare una lucertola.
– Un fermacarte. È stato troppo tempo in acqua perchè ci siano tracce, ma di sicuro proviene dalla villa dei Freddi. Guardi sotto…
– Dirigente dell’anno 2017, premio progetto Lizard!
– Proprio quello! E sì che avevamo trovato i DVD…
– Decisamente la signora è nei guai. E poi c’è Carlo Olmi, con quella sua banda di scrittori da strapazzo su… come si chiama…
– Penitenzigite, commissario.
– Sì, quelli che scrivevano racconti sugli sconosciuti. Lo credo che la Parenti ha perso la testa, hai letto quei racconti? Sembra che conoscessero un sacco di cose, eppure abbiamo torchiato Olmi e ha giurato che nessuno tranne lui conosceva la Parenti, e che lui stesso non sapeva nulla del delitto.
Immergendo la mano in un mucchio di carte e ritagli di giornale, il commissario Poletti ne estrae magicamente una cartella con su, in precisi caratteri tracciati con inchiostro rosso, il titolo Penitenziagite. La apre e comincia a sfogliarne il contenuto.
– Ecco, Cammarota, ma ti pare possibile? Leggi, questo sembra che sapesse del Progetto Lizard…
– Commissario, ho letto tutti i racconti mentre li stampavo. Gli scrittori sono gente pericolosa.
– Già. Però, diciamo la verità, senza di loro noi non saremmo riusciti a risolvere il caso, no? Se Sherlock Olmi non avesse scelto la sua ex per il loro gioco la verità forse non sarebbe mai venuta alla luce.
– Eh, pure i social, non solo gli scrittori, sono una cosa pericolosa, commissario… metta le due cose insieme… sa che ora il profilo della Parenti è bersaglio di una shit storm?
– Una scichè?
– Una tempesta di… insulti. Maledetta, assassina, e molto peggio. Sarebbe bene chiudere il profilo… l’odio genera odio…
– Magari hai ragione, Cammarota. Però, vedi, sarà orgoglio, ma non riesco a capacitarmi che quegli sciroccati, senza sapere niente, solo scrivendo le loro scemenze, siano arrivati più vicini di noi alla verità… Eppure, ci sono stati dei casi anche più strani. Ricordi quando quella sensitiva indicò dove trovare l’auto dove c’era quella ragazza morta?
– La Busi?
– La Busi, esatto. Lei disse in che punto la macchina era caduta nel lago, no? Tu eri già qui a Como, vero?
– Sì, commissario – il tono di Cammarota è quasi seccato – ma non è che per indicare quella curva ci volesse una veggente. Sa quanti incidenti…
– No, Cammarota, per favore, le statistiche no. Fatto sta che lei disse che quella ragazza, Chiara, era in quel punto del lago, e c’era davvero. Me lo raccontò il mio predecessore quando mi passò le consegne. E se i “penitenti” fossero un po’ dei veggenti? O, meglio, se quello che la gente pubblica su Facebook fosse sufficiente per ispirare le persone più intuitive? In fondo si dice che l’intuizione sia l’elaborazione inconscia di informazioni…
Cammarota scuote la testa senza rispondere e Poletti si lascia andare sulla poltrona, nella sua posa alla Nero Wolfe, con un sospiro.
– Ah, Cammarota! Quando arriverà il Social Crime noi non serviremo più a nulla, indagherà la gente qualunque, tirando a indovinare… ecco come finirà… l’ha letto il giornale?
– Commissario, sta per caso diventando appassionato di social, ora? Ma quella, lo sanno tutti, è una bufala. I giornali hanno già smentito. Non si sa nemmeno se in Cina esista davvero. Però ha ragione, Facebook è uno strumento potente. Forse più di quanto si possa prevedere o immaginare… ma se io scrivessi nel rapporto tutte queste cose, cosa direbbero il questore e gli svizzeri? Ci crederebbero?
– No, penserebbero a delle fonti di informazione più… convenzionali. Vorrebbero assicurarsi che nessuno sappia dei loro progetti segreti. Interverrebbero i servizi, ci toglierebbero il caso e ci passerebbero al setaccio, troverebbero e interrogherebbero tutti quei “penitenti”, per questa creatività ai limiti della chiaroveggenza, poi vaglielo a spiegare agli svizzeri… un sacco di fastidi…
Il commissario riprende in mano il rapporto, s’inclina all’indietro sulla poltrona e fissa il suo vice, imitandone involontariamente il sorriso.
– Un rapporto perfetto, Cammarota. Ottimo lavoro come sempre. Ah, come dicevi che si chiama, quella cosa? Penitenziagite? Penitenziagite…
Piove forte e Guido ha fatto tardi nella visita a quel cantiere in quel posto assurdo, senza combinare niente, perché tanto aveva altro per la testa. Ora deve tornare a Milano col buio, e la pioggia, e la tensione degli ultimi tempi che si fa sentire. Arturo. Dalia. Achab. La polizia. La pioggia, su quella strada provinciale male illuminata, ogni tanto una trattoria in mezzo a quattro case, e lui si fermerebbe anche se poi non dovesse riprendere il cammino ancora più tardi. Ancora venti chilometri a Milano.
Un grosso camion che arriva di fronte lo strappa ai pensieri, passandogli a due spanne e inondandogli il parabrezza di acqua sporca. Guido frena sbattendo le palpebre per riflesso. Per fortuna dietro non c’è nessuno. Cretini come me a quest’ora di qui ne passano pochi, dice tra sé. Cretino di sicuro. Poco a poco ho perso il controllo sulla mia vita.
Dalia non reggerà, pensa. È solo questione di tempo, poi farà una sciocchezza. E poi c’è Achab. Non può essere sicuro che sia lui, quello che aveva investito anni prima, certo, così come non può essere sicuro che fosse lo stesso che lo ha cercato in ufficio. Coincidenze così sfidano qualunque verosimiglianza, eppure più nulla gli sembra incredibile, dopo la morte di Arturo. A volte si sente distaccato da tutto, gli sembra di guardare la sua vita dal di fuori, come un film assurdo. E quando invece l’ansia torna a salire, allora si sente come un animale braccato, che deve sopravvivere. Ogni sera, al termine della giornata, ha la sensazione di salvarsi per miracolo. Devono sentirsi così, pensa, quelli che sfuggono a una catastrofe, a un naufragio, a un incendio. Quelli che per salvarsi la vita camminano sui cadaveri delle persone con cui pochi minuti prima avevano preso il caffè.
Non era un genio, anzi non aveva nessuna caratteristica speciale, ma aveva sempre saputo quale doveva essere il suo prossimo passo e come farlo. Negli studi, fino a specializzarsi in uno dei settori più promettenti e redditizi dell’ingegneria civile, e nella vita privata, con donne che lasciava sempre un minuto prima che il rapporto degenerasse in piccoli e grandi rancori. Non si era mai fatto male nessuno, o meglio quasi nessuno.
Stavolta invece era finito in un casino da cui non vedeva via d’uscita. Quando aveva conosciuto Dalia aveva pensato perché no, una donna bella, interessante, giusta per una storia appassionata ma senza impegno. Sembrava perfetto. Invece lei tratteneva qualcosa di oscuro che era esploso travolgendo la diga che entrambi si erano costruita. Ora che la diga aveva ceduto non c’era più niente da fare, lei è completamente invasa da se stessa, proprio come quel parabrezza inondato di pioggia, e lui…
All’improvviso sul cruscotto il cellulare si illumina e parte SweetDreams, la suoneria degli Eurythmics, che lo sveglia dal suo sonno vigile fatto di pensieri confusi. Di nuovo il numero della reception. Che fa Giulia ancora in ufficio a quest’ora? Guido mette il viva voce, poi riprende saldo il volante con entrambe le mani.
– Pronto ingegnere, la disturbo?
– Buonasera Giulia, affatto, ancora in ufficio? Problemi?
– No, tutto ok, volevo dirle… di quel signore claudicante…
Guido trattiene il respiro
– Sì…
– Ecco, è passato di nuovo, poco fa, e questa volta mi sono fatta dire il nome! Vede che sono brava? Ecco qui… il Dottor Righetti, della Mondo SpA
Per Guido è come tornare a respirare dopo lunghi minuti sott’acqua
– Ah, Righetti! Sì, l’ho sentito sempre solo al telefono, non sapevo zoppicasse!
– Sì, Righetti, ha parlato di una fornitura per cui non ha ancora avuto risposta…oggi mi era sembrato preoccupato ingegnere, così ho pensato di dirglielo subito…
Giulia continua a parlare ma Guido non l’ascolta più, la ringrazia e chiude in fretta la chiamata con la scusa che é al volante. Righetti, della Mondo SpA! Non é quell’uomo, non è Achab, è soltanto un fornitore un po’ insistente! E allora Achab chi è? E gli altri?
Ormai, anche con quella pioggia, manca meno di mezz’ora alla tangenziale. La luna si è alzata, proiettando luce e ombre che in quella strada fiancheggiata da alberi finiscono per peggiorare ancora la visibilità. Senza accorgersene, Guido accelera per il desiderio di arrivare prima. Improvvisamente tra un albero e l’altro vede avvicinarsi un’ombra, che gliene ricorda un’altra di tanti anni prima, ma stavolta no, stavolta l’avrebbe evitato. Sterza bruscamente, frenando troppo per quel fondo scivoloso, e l’auto parte di traverso, incontrollabile, puntando dritto verso un grosso platano, quasi animata di una furia autodistruttiva. Guido continua a girare il volante e a premere il freno, l’auto gira su se stessa più volte, urta lo spartitraffico, poi inizia a rallentare e si ferma con una botta sul guardrail.
Guido batte il petto sul volante ma non si fa troppo male, la cintura lo trattiene. D’istinto gira la chiave, spegne l’auto, urla sono vivo, piange. E all’improvviso vede tutto chiaro.
È Righetti, pensa, non è Achab, non può essere Achab perchè quell’uomo non ha mai saputo il mio nome, non può saperlo, e non può sapere di Arturo e Arturo non può essere vivo, Arturo è sul fondo del lago! E quel gruppo, quelle persone, Penitenziagite, l’avevo letto una volta che ci sono questi gruppi sui social, c’è un sacco di gente pazza sui social, rubano le foto dai profili e poi insultano, deridono, inventano cose, è gente pazza, repressa, li chiamano troll mi pare, sì è di sicuro così, solo qualche coincidenza su cui noi due abbiamo costruito tutto!
Guido ne è convinto ora, quello di Madame Bovary è solo un racconto banale, una storia di amanti come tante, ma non sono loro due, loro due non si sono mai incontrati in un parco, non hanno mai premeditato di uccidere, e Wolverine chi sarà mai, un ragazzotto che legge fumetti, o uno di quegli scemi complottisti, e Jorge la cam girl, sarà una delle tante troiette del web, che c’entra con lui e Dalia, nulla! E anche il racconto di Achab, non parla mai di un incidente d’auto, in realtà non parla di niente! Se l’erano costruita loro, questa follia, con le loro paure, con i loro sensi di colpa, ma ora basta, nemmeno la polizia sa niente, ora lui è vivo, vivo e libero!
Respira a fondo e prova a girare la chiave. La macchina parte. È un po’ ammaccata, un rumore strano proviene dalla ruota davanti, ma parte. Deve solo arrivare a casa, riposarsi, aiutare Dalia a non crollare. Andrà tutto bene, pensa. Non siamo assassini. Non volevamo uccidere Arturo. È stato solo un incidente, un momento di paura, di follia.
Si immette di nuovo sulla strada, ora c’è un po’ più di traffico, pensa, meglio andare piano, l’importante è arrivare, arrivare sano e salvo, lascio che questo camion mi superi, andrà tutto bene, riprenderò il controllo della mia vita. Il camion passa, lui accelera un po’.
In quel momento la gomma davanti esplode, l’auto senza controllo va dritta sul guardrail che stavolta non resiste all’urto, si sfascia, Guido urla, ma di pensare non ha tempo, non ha più nessun pensiero nella testa, urla soltanto no, no, no, poi lo schianto e il buio.
Guido osserva il cantiere con aria assente. Non riesce a smettere di pensare a Penitenziagite, a Dalia e a tutto il resto.
Madame Bovary, Wolverine, i loro racconti potevano essere solo coincidenze, quello di Jorge De Burgos non capiva che c’entrasse, ma ora Achab… il racconto di Achab non può essere una coincidenza. Quel racconto è per lui.
Squilla il cellulare, è il numero del centralino della Housetec. Bisogna tornare alla realtà. Purtroppo. Per fortuna.
“Pronto, ingegner Altieri?”
“Buongiorno Giulia, dimmi”
“La stanno cercando in tanti, sa? Quando torna?”
“Ancora un paio di giorni, sto visitando un cantiere” risponde, un po’ infastidito. Persino la voce allegra e squillante di Giulia, la receptionist, gli sembra indagatrice.
“Dunque, l’ha cercata l’avvocato Barioni per la faccenda delle licenze, Marchini per il nuovo sistema informatico… e poi il geometra Arlotti che sta ancora aspettando il preventivo…”
Arlotti, e chi è? Devo cercare nelle mail, che da un po’ di tempo ho troppi pensieri per riuscire a stare al passo con il lavoro, pensa Guido.
“Ok Giulia, tutto sotto controllo. C’è altro?”
“Ah sì… l’ha cercata un signore… ma non ha lasciato il nome. Ha detto che tornerà tra qualche giorno”
“E non ha lasciato detto altro?”
“No, solo che è una faccenda privata. Un signore alto, con i capelli grigi, claudicante”
“Claudicante…?” trasale Guido.
“Sì, zoppicava. Usava un bastone. Lo conosce?”
“Io… non lo so, non credo… ma qual era la gamba?”
“Qual era la gamba? Oddio… non ricordo… mi pare la destra… non sono sicura però…”
” Ok, ma zoppicava in che modo?”
“Non saprei in che modo… zoppicava… perché?”
“Cioè, secondo te portava una protesi?”
“Oddio ingegnere, non lo so, non ho indagato! Sarei stata un po’ invadente non crede?”
“Hai perfettamente ragione, scusami. Ci vediamo tra pochi giorni…”
Claudicante, pensa Guido. Avevo ragione. Achab.
Solo una persona può avermi odiato tanto, e per tanto tempo, e avendone ottimi motivi. C’ero io dentro quella macchina, e andavo veloce. Tornavo a casa dopo una serata con una donna, ma non si chiamava Dalia, si chiamava Rosa, un altro fiore, un altro nome e un’altra vita, di quelle che sembrano essere l’unica vita, perché sei giovane e non sai ancora quante altre ne verranno, di altre donne e di altre vite.
Ricordo il buio della notte, tagliato a metà dalla linea bianca di mezzeria, e la velocità, l’ebbrezza. Veniva musica dall’autoradio, non saprei dire quale, suppongo qualcosa di potente che mi faceva sentire invincibile. Mi sentivo spesso invincibile allora, anche senza musica. Avevo venticinque anni, la laurea a pieni voti in tasca, un lavoro perfetto appena iniziato, una ragazza bella che mi amava. Tornavo da solo da una festa. Non ricordo la musica, ma ricordo bene il rumore che la interruppe. Fu un clang o forse un plong, un suono fermo, rapido, definitivo. Nato dal nulla, così come era uscita dal nulla la grossa moto e l’uomo che ci stava sopra e che vidi appena sbalzare via, come un’ombra. Ricordo il rumore dei miei freni, la moto a terra sul ciglio del fosso e di fianco nessuno. Poteva una moto andarsene da sola nella notte?
Guardai la mia auto. Un fanale rotto ma funzionante, un’ammaccatura nemmeno troppo visibile. Controllai che non ci fosse sangue, lo feci con consapevolezza. Ricordo il battito forte e irregolare del mio cuore, mentre trovavo il coraggio di guardare nel fosso. Non vidi nulla, era troppo buio. Presi il cellulare, composi il 118. Tasto verde, no, tasto rosso. Mi avrebbero identificato. Lo spensi e lo misi in tasca. Non ricordo più quale folle percorso mentale mi convinse che non aver visto nulla nel fosso mi rendesse innocente.
Risalii in macchina e dopo un paio di chilometri tornai ad essere umano. Immaginai un corpo riverso in un fosso, sentii il suo lamento, la sua disperazione, la sua speranza. Ricordai che lì vicino c’era un telefono pubblico. Devo segnalare un possibile incidente, ho visto una moto ribaltata, non so cosa sia successo, provinciale 15, Km 18, subito dopo il centro commerciale. Il suo nome prego? Clic. Ho fatto il mio dovere. Non avrò perso più di venti minuti. Sono tanti venti minuti, in un fosso con la bocca piena di terra? Sono tanti. Con una gamba maciullata? Sono tanti. Con un’emorragia interna? Sono infiniti. Sono la differenza tra la vita e la morte.
Quell’uomo non è morto. Forse non per merito mio, ma non è morto. Forse proprio perché non si salvò per merito mio, la vita ritenne di darmi, anni dopo, una seconda possibilità di diventare un assassino. Il bello è che così come quell’uomo non si salvò per merito mio, altrettanto ritengo che Arturo non sia morto per colpa mia. Ma sono un mezzo assassino due volte, e alla matematica non si sfugge, il risultato è l’intero.
Seguii i quotidiani nei giorni successivi. A.F., stimato commerciante, con una moglie e una figlia, investito da un pirata della strada. Telefonata anonima, intervento tardivo dei soccorsi. Tra la vita e la morte. Prognosi riservata. Le condizioni migliorano. Se la caverà, ma rimarrà invalido. Amputazione della gamba destra. A. F. non sarà più lo stesso. La città è piccola, imparo il suo vero nome. A. come Achab, un’altra coincidenza. Imparo dove lavora. Vado al suo negozio di telefonia, mesi dopo. Non so perché lo faccio, mi trema tutto dentro. Lo saluto, sorrido. Compro un nuovo cellulare. Zoppica, ma è sorridente. Non sembra stare male. Non sembra riconoscermi, d’altra parte come sarebbe possibile?
Però ora, non so come, lui sa, sa chi sono e sa cosa ho fatto insieme a Dalia. O forse ha sempre saputo, forse da allora mi sorveglia, e come Achab aspetta da anni la sua vendetta.
“Tutto normale stanotte?”
“Tutto tranquillo. Il 310 è tornato alle due un po’ sbronzo, e i due russi della 415 volevano che gli trovassi compagnia, ma ho fatto finta di non capire. Per il resto niente”
“Ok, a posto. Va’ a far colazione, Gambadilegno”
Mi alzo con una smorfia che non è dovuta solo alla ferita. La protesi non è di legno, ma non è neanche una di quelle avveniristiche che fanno vedere in TV e poi costano centomila Euro. Quelli sensibili evitano di guardarla e di parlarne, quelli stronzi come Christian mi prendono per il culo, e forse non sono i peggiori.
Sono le sette e dieci, al banco c’è solo Mahmoud. Vive in Italia da molti più anni di me e fa un cappuccino da Dio, ma lo chiamano sempre Africa. Le brioche le evito perché le conosco; lui lo sa e mi passa uno dei suoi muffin, ne fa scorta dal fornaio in piazza prima di attaccare. Sono buoni, ma far colazione fuori tutte le mattine per me costerebbe troppo, e Mahmoud lo sa.
“A domani, Africa”
“A domani, Gambadilegno”
La gente si alza presto, qui nella pianura padana. Un sacco di gente che per lavoro fa il giro della provincia è già in macchina, e i bar sono pieni, sparano sui marciapiede profumo di caffè e paste. Anche la signora Emy è già lì che pulisce le scale, ma un reciproco grugnito è tutto il saluto che ci scambiamo. D’altronde le scale proprio non fanno per me: senza l’ascensore, in questo buco non potrei viverci.
Eccomi qui. Accendo il PC che mi ha regalato quel tipo, non ricordo nemmeno il suo nome, ormai sono abituato a chiamarlo Sherlock. Era in trasferta di lavoro e aveva preso un monolocale in affitto proprio qui, dove faccio il portiere. Anche lui sempre lontano da casa, un po’ come me prima dell’incidente, vabbé insomma, più o meno. Un tipo solitario, ma un giorno mi vede leggere Delitto e castigo e mi dice, lei ha buon gusto, è uno dei miei romanzi preferiti. È raro trovare qualcuno con cui parlare di libri, così ogni tanto parlavamo di libri, e poi anche di lavoro, di viaggi. Quando se ne è andato mi ha lasciato il pc, dicendo che la sua azienda stava per dargliene uno nuovo e che lo regalava volentieri a me, purché lo usassi per scrivere le mie memorie. Ci scambiamo le mail, poi qualche settimana fa mi scrive e mi dice, vuoi entrare in questo gruppo? Perché no, penso. Il tempo libero non manca.
Achab ho deciso di chiamarmi, l’autoironia non mi è mai mancata, e d’altra parte sono stato in giro almeno quanto lui. Ogni volta che tornavo in Italia, in una pausa tra un ingaggio e l’altro, mi sembrava di essere in viaggio in una terra familiare eppure estranea. Scendevo dalla nave come un marinaio, con poco bagaglio e una famiglia sempre meno mia ad attendermi, e ripartivo appena riuscivo a trovare un lavoro qualsiasi in uno dei cantieri gestiti da società italiane in Africa o in Asia. Posti sempre meno sicuri, in paesi dove i reporter della CNN spesso avevano un elmetto in testa.
Alla fine, sono andato a lavorare sulle piattaforme petrolifere in Libia, Nigeria, Malesia. Ci sono invecchiato, a casa non tornavo neanche più, le agenzie straniere ti trovano lavori uno dietro l’altro. Poi l’incidente, e già è molto che non ci abbia rimesso la pelle. E provate voi a farvi dare una pensione d’invalidità per un incidente successo all’altro capo del mondo, e alla pensione di vecchiaia mancano ancora anni. Trovati un lavoro, papà, grazie al cazzo figliolo, un paio di amici li ho ancora, non disturbare il tuo direttore del personale che di uno come me non sa che farsene.
È ora che scriva il racconto in Penitenziagite. Dalia Parenti, ha l’aria di una signora bene questa, non ne ho mica conosciute tante, io, ma so come sono, e spesso ne hanno solo l’aria. Per me si scopa questo stronzo, questo dell’intervista. L’ho detto anche ad Anna, Madame Bovary, e avevamo pensato la stessa cosa. Mi piace quella donna, è una che ha delle storie da raccontare. Per questo l’ho portata in questo gruppo, per leggere quello che scrive, che quando scrive racconta le storie che a voce non racconterebbe.
Questo stronzo si chiama Guido Altieri e fa l’ingegnere e mi ricorda tanto quell’altro ingegnere, quello della piattaforma nel Golfo del Messico. Quello che ha sbagliato i calcoli e mi si è tranciata la gamba, ma mica l’ha ammesso l’errore. Anche quello era un ragazzino arrogante, con più ambizione che esperienza. E mica ha pagato, anzi ora avrà fatto pure carriera. Come vorrei fargliela pagare, poter fare come nei libri, come il Conte di Montecristo, sono stato indeciso a lungo sul nick, Achab o il Conte di Montecristo? Poi ho scelto Achab perché lo so che la mia vendetta è impossibile, come la sua. Moby Dick vince sempre.
Ne ho letti tanti di libri, sulle piattaforme. Studiare non ho studiato mai, ma libri ne ho letti più di chiunque conosca. Ora è arrivato il momento di scrivere, soldi per i corsi di scrittura non ne ho, ma storie in testa sì, e questo gruppo un po’ sballato fa proprio per me. Tanto dormire non se ne parla.
Carlo, avrei dovuto capire subito… Carlo…
Dalia chiude la porta dietro sé e rimane aggrappata alla maniglia, vorrebbe avvicinarsi alla finestra per guardare i due poliziotti che se ne vanno ma non può, è come impietrita. Sente il rombo del motore dell’auto che si allontana e solo allora riesce a muoversi, appoggiandosi al muro arriva fino al divano e lì si lascia cadere. Forse sanno, ma cosa sanno? Carlo… non può che esserci lui dietro tutta quella storia. Carlo.
Dalia apre il pc, ma già sente che troverà solo conferma dei suoi sospetti. E infatti, l’ultimo racconto pubblicato su Penitenziagite, la storia della cam girl, le dà i brividi. Non può essere che lui, solo lui sa.
Dalia torna indietro con la memoria di alcuni anni, ripensa alla sua storia con Carlo. Torna a quando era una studentessa di lettere, pochi soldi, il lavoro serale da cameriera, il padre che le diceva sempre vai in fabbrica, che tanto la laurea non serve a niente. Quell’idea che le era venuta guardando un film, di spogliarsi davanti alla cam, in garage, mentre i suoi dormivano. In fondo non c’era nulla di male. Solo che lei non si faceva chiamare Calypso, come nel racconto su Penitenziagite, ma Remedios, come la bella di Cent’anni di solitudine che viene assunta in cielo. I riferimenti letterari le erano sempre piaciuti. Chissà perché Carlo le aveva cambiato il nome, forse per fare la battuta sui porci, chissà. Carlo non mentiva quasi mai, ma per costruirsi una buona battuta avrebbe potuto farlo, era nel suo stile.
Lui invece si faceva chiamare Navigante. Perchè? Perchè sono sempre in viaggio, diceva. Era un programmatore informatico, e nelle sere solitarie in trasferta non aveva trovato di meglio che cercare compagnia virtuale. Sempre con lei, una sera dopo l’altra. Perchè lo fai? Ti servono soldi? Una ragazza intelligente come te non dovrebbe buttarsi via così. Carlo bravo ragazzo. Carlo moralista. Carlo che la voleva salvare. Carlo che la voleva comprare. Vorrei che mi mostrassi il viso. Eh, ma quello costa caro. Pagherò per vedere i tuoi occhi. Sono la parte più intima. Hai la faccia da brava ragazza. Lo ero allora, pensa Dalia. Non ero ancora un’assassina. Chissà se invece lo ero già. Chissà se siamo da subito tutto quel che saremo.
Vorrei incontrarti, ma non pensare male. Non voglio solo quello. Voglio conoscerti. Carlo ipocrita. Carlo come tutti gli altri. Ma gli altri non aveva mai accettato di incontrarli dal vivo, lui sì, chissà perché. Le ispirava fiducia. Fiducia di poterla amare. Fiducia di poterlo usare. Si danno appuntamento in un bar di Milano, lei con un’auto presa in prestito da un’amica, un abito lungo a fiori, stretto in vita, comprato al mercato per due soldi ma che sul suo corpo ne dimostrava molti di più. Lui di ritorno da una delle tante trasferte. Lui la guarda. La trova ancora più bella di quanto si aspettasse. Lei lo guarda. Non è né bello né brutto, né alto né basso. Ha gli occhi intelligenti, vivacissimi dietro gli occhiali. Lei si sente amata, si sente forte. Decide che sì, va bene. Può stare con lui. È l’opzione migliore che ha in quel momento. Fanno l’amore. E Carlo si innamora davvero, le offre il sentimento più bello e puro che si possa immaginare. Non fare più quelle cose in cam. Penso io a te. Finisci di studiare, ti pago io le tasse. Ti aiuto io e non mi devi niente. Carlo generoso. Carlo intelligente. Carlo ragazzo perfetto.
Dalia lascia la casa dei suoi senza dare troppe spiegazioni, va a vivere con lui a Milano, anche se lo vede poco, lui è sempre in trasferta, ogni tanto le invia un biglietto aereo per raggiungerlo, a Londra, Parigi, Vienna. Una vita allegra. Una vita migliore. Anche Carlo è più allegro e interessante di quel che poteva sembrare. Dalia finisce gli esami, si laurea, corregge per un po’ le bozze in una casa editrice, poi inizia a lavorare da segretaria di direzione in una grande azienda, la Pharmacras.
Passa qualche anno e una sera Carlo arriva a casa su di giri, con una bottiglia di champagne. Ho avuto una promozione, niente più trasferte, voglio sposarti! È felice, la abbraccia. Non si accorge che lei subisce il suo abbraccio senza ricambiarlo, tiene le braccia ferme lungo i fianchi e trattiene il respiro. Proprio la sera prima Dalia é uscita per la prima volta a cena con il suo capo, Arturo Freddi. Sapeva da tempo di piacergli, ma si era fatta desiderare. Qualche giorno dopo, mentre Carlo è al lavoro, Dalia fa le valigie. Gli lascia un biglietto. Perdonami. Carlo solido, forte, equilibrato, impazzisce. Ma non impazzisce di fuori, impazzisce di dentro.
Non urla, non accusa, non offende. Semplicemente si fa trovare, ogni giorno, davanti alla grande villa di Arturo quando lei sta per uscire, o alla Pharmacras quando sta per entrare, o di nuovo la sera davanti alla villa, o altrove. Non dice niente, soltanto si fa vedere, e la guarda. Dalia ha paura, sfugge il suo sguardo, ancora fermo e pacato come sempre, pur nella follia del suo comportamento. Potrebbe parlare ad Arturo, dirgli che il suo ex la tormenta, chiedergli di aiutarla a liberarsene, ma non lo fa. Con il tempo si abitua alla presenza di Carlo, accetta di dovergli almeno questo.
Sa cosa lui si sta chiedendo: perché non le è bastato. Anche Carlo guadagna bene, anche con lui non le mancherebbe nulla. È bravissimo nel suo lavoro e destinato a una bella carriera. Ma gli manca quell’arroganza sottile, quel gusto del potere che ha Arturo e che le fa sentire l’adrenalina della rivincita.
Dalia sa perché Carlo ha iniziato quello strano gioco. Non per tormentarla, o almeno non solo. Soprattutto per essere certo che lei si ricordi di lui, che non lo dimentichi del tutto in breve tempo, come si fa con le persone mai amate davvero. Arriva il giorno del matrimonio con Arturo e Dalia intravede Carlo tra i mille invitati, proprio lì, nella villa dove avverrà l’omicidio. Non si domanda come abbia fatto ad avere l’invito, sa quanto è intelligente Carlo, quanto sa arrivare ovunque, se vuole. Poi continua a vederlo, per i due anni successivi, nei suoi appostamenti. A volte lei tiene gli occhi bassi, a volte scambiano un rapido sguardo.
Accade che Carlo non si faccia vedere per qualche giorno, massimo un paio di settimane, forse per qualche breve viaggio di lavoro, ma alla fine torna sempre, e Dalia sente la sua presenza, anche quando lui non c’è. Poi ad un certo punto Carlo non compare più. Passano due, tre, quattro settimane. Un mese, due mesi. Passano sei mesi e Carlo non c’è più. Dalia pensa che forse si è trasferito, forse si è rassegnato, forse ha trovato una nuova compagna. Si sente di nuovo libera e in quel momento conosce Guido.
Guido l’amore vero, il primo. Più forte della sicurezza di Carlo, più del carisma di Arturo. L’amore profondo che ti fa diventare quello che sei. Un’assassina nel suo caso, ma non importa. Ha ucciso, ma l’ha fatto per loro due, per il loro amore. Carlo non sarebbe d’accordo, Carlo diceva sempre che siamo responsabili di ogni nostra azione, che non dobbiamo cercare giustificazione negli altri per il male che facciamo. Ma finalmente Carlo non é più lì a farle da coscienza.
E invece no, c’é ancora. Non ha mai smesso di esserci. Di certo l’ha vista con Guido e questo l’ha reso definitivamente pazzo. Tradito di nuovo. E’ stato al lago, più volte, é riuscito a farsi ospitare dal loro vicino di casa. Ha usato il suo aspetto rassicurante, quasi dimesso, e la sua intelligenza fuori dal comune per costruire l’immensa ragnatela in cui la sta intrappolando.
Era lì la sera dell’omicidio, e forse anche la sera dopo, quando era andata a gettare l’arma nel lago. L’aveva spiata. E Penitenziagite era di certo opera sua. Pentitevi. Era Carlo, la sua coscienza. Sentiva la sua voce nella testa, ora. Non fare più quelle cose in cam. Tu sei una brava ragazza. No, non lo sono più. Ho ucciso. Posso farlo ancora. Devo rendermi insospettabile, sembrare una moglie più angosciata. Ora scrivo qualcosa sul blog e su Facebook, qualcosa per far capire che sono disperata per Arturo. E intanto devo andare da Carlo, parlargli, capire cosa sa. Metterlo a tacere, a qualsiasi costo. Guido non deve sapere nulla. Questa è una cosa che devo fare da sola.
L’auto della polizia, aggirando la villa dei Freddi, si dirige verso la prima delle tre ville più vicine, quelle ragionevolmente a portata di vista e di udito. Cammarota ha nel frattempo appurato che una è disabitata da tempo mentre un’altra, di una famiglia brianzola, è usata solo d’estate. In questa invece vive Giovanni Lucci, un anziano signore che dice di essere uno scrittore.
– In realtà sono un pensionato, sa, Commissario. Però per fortuna negli anni sono riuscito a mettere un gruzzolo da parte, così ho deciso di seguire una vecchia passione: ho comprato questa villetta, e mi sono trasferito qui per godermi il lago, dedicarmi al giardinaggio e provare a scrivere. Partecipo a concorsi letterari, mando dei racconti ai blog, cose così. Sa che scrivo anche racconti gialli? Magari sapessi qualcosa sulla scomparsa del dottor Freddi, ma purtroppo, anche se lunedì sera ero qui, non ho sentito nulla di strano. Sono stato al computer tutta la sera… era qui anche Carlo, un mio amico che collabora al mio lavoro. Mi stava dando qualche lezione su come trovare materiale utile in rete, sa, informazioni su veleni, procedure scientifiche, cose che a cercarle in biblioteca ci vorrebbero settimane. Per fortuna Carlo conosce decine di siti interessanti, mi ha dato molte dritte utili. È ripartito per Milano il giorno dopo, lavora lui.
– Un collaboratore? Ma lo paga?
– No, e con quali soldi? Ci siamo conosciuti su un forum di appassionati di storie poliziesche, gli ho spiegato che scrivo ma che non so come fare a trovare certe informazioni, a fare ricerche… Lui è stato molto gentile, mi aiuta e in cambio io lo ospito ogni tanto per un weekend, o a cena, dice di amare molto il lago.
– Sentiremo anche lui – interviene zelante Cammarota.
– Se volete, ma penso sia inutile. La sera abbiamo cenato insieme, siamo stati a tavola più o meno fino alle 22, voi dicevate che Freddi è arrivato prima, no? Posso assicurarle che non lo abbiamo sentito, né il motore della macchina né altro, ma in effetti da qui non si sente quasi mai nulla di quello che succede lì. Giusto quando tira vento, arriva qualche volta il rumore di un’auto, una voce…
– E la mattina dopo? C’era vento?
Poletti ha un tono quasi annoiato. Mentre si agita in una scomoda poltroncina, il suo sguardo vaga nella direzione di una scala che porta al piano superiore.
– Vento? No, per niente. Carlo è partito molto presto, verso le sei, andava al lavoro. Io l’ho accompagnato alla macchina, non ho sentito né visto niente di strano, e credo neanche lui.
Una volta prese le generalità complete del collaboratore il Commissario Poletti ringrazia e saluta il brav’uomo con dei modi cortesi ma un po’ frettolosi, come se temesse di essere sottoposto a un garbato interrogatorio sulle procedure della Polizia, e fa ritorno alla villa della signora Parenti, cui ha chiesto di acconsentire a un secondo sopralluogo.
– Le ricerche di suo marito non hanno purtroppo dato nessun esito. I colleghi elvetici – E qui Cammarota solleva il sopracciglio destro – non sono al momento riusciti a trovare nessuna traccia, né a Lugano né a Berna. Vorremmo insomma assicurarci di non aver tralasciato nulla, per questo le abbiamo chiesto la cortesia di tornare qui…
Il commissario completa la frase con un vago gesto con la mano rivolto al salotto, o forse all’intera zona intorno alla villa, perché poi continua:
– Siamo anche ripassati per la strada che probabilmente ha percorso suo marito, abbiamo visitato il vostro vicino, sa, quel Lucci. Un tipo curioso…
– L’avrò visto un paio di volte al massimo – dice, un po’ troppo in fretta, la signora, forse leggermente impallidita, pensa Cammarota. Il taccuino si materializza silenziosamente.
– Già, anche lui dice la stessa cosa, che quasi non vi conosceva. Un signore tranquillo, con la passione della scrittura. Ogni tanto ospita un suo conoscente, che gli fa anche da consulente per i suoi libri, anzi c’era anche la famosa notte, ma non hanno visto o sentito nulla, pare… Cammarota, come si chiama quel tizio?
– Carlo. Carlo Olmi, commissario
Se prima il pallore della signora Parenti poteva sembrare l’effetto della luce esterna che si sta affievolendo, ora no. Poletti fa finta di non accorgersene, e prosegue imperterrito.
– Già, Carlo Olmi. Abita a Milano lui, zona Loreto, Lucci dice che ci mette un’oretta per arrivare qui, quindi spesso fa una telefonata e viene a trovarlo. Beh, comunque questo signore non ci interessa, torniamo a noi. Lei ovviamente non ha avuto notizie di suo marito, vero?
– No, nessuna. Ho bloccato il conto bancario comune e il deposito titoli, come mi avete suggerito, ma non c’è nessuna traccia di operazioni fatte da lui. Con me non s’è fatto vivo, e le sue cose sono ancora tutte a casa.
La voce s’è fatta via via più ferma, lo sguardo guizza tra il commissario e la finestra, poi si fissa negli occhi dell’interlocutore. Il momento di debolezza è passato, si dicono Poletti e Cammarota con uno sguardo, tanto vale andare via. Poche parole di commiato e la promessa di tornare a “riferire” sull’inchiesta bastano a lasciare la signora Parenti sollevata ma inquieta al tempo stesso, poi nel breve tragitto verso il commissariato i due poliziotti finiscono di scambiarsi le rispettive impressioni con le frasi mozze che usano solo le coppie collaudate negli anni, di qualunque tipo siano.